di Corrado Morelli e Aldo Ferraris
La chiesa di S. Sebastiano si trova nella periferia a sud-est di Robbio: piccolo corpo di fabbrica all’interno della cascina omonima lungo l’antica via francigena, oggi strada provinciale dei Cairoli che collega Robbio a Sant’Angelo Lomellina e Mortara.
E’ un edificio orientato di modeste dimensioni (m 10.40 x 6.00) costruito in muratura portante di mattoni pieni dalle dimensioni due – trecentesche di 28 x 8 cm., rimasto integro rispetto all’originale, se si escludono minimi rimaneggiamenti su una finestra.
Sul perimetro esistono, come unici segni stilistici oltre alla perfetta abside semicilindrica, il coronamento sommitale in mattoni stondati a “gola rovescia” e alcune aperture monofore: sul lato destro sono presenti due monofore, originarie, come dimostra l’apparato decorativo che appoggia sul voltino e risvolta in modo congruo nell’imbotte, ed una finestrella più bassa, presumibilmente postuma, in quanto interrompe l’apparato decorativo.
Sono molto semplici la facciata a capanna e la copertura con tegole a coppi e canale, su orditura in legno e tre travi con pseudo-capriate (i monaci sono sostituiti da pilastrini in muratura intonacata).
La pianta è rettangolare ad aula semplice con abside a catino contenente il presbiterio, dove è presente un altare in muratura, decorato sul fronte, appena rialzato su predella in muratura di mattoni.
Sul piano architettonico ed artistico l’edificio si può ritenere sostanzialmente conservato nelle sue forme originali: il che ne accresce il valore esemplare per l’epoca bassomedievale.
L’importanza dell’edificio sta nei suoi affreschi lungo il perimetro interno, purtroppo segnati da grave degrado, con la rappresentazione dei miracoli e degli episodi finali della vita di San Sebastiano.
Sulla controfacciata esistono altri affreschi devozionali; il catino dell’abside ha decorazioni del ‘700.
Storia dell’edificio
La datazione della chiesa può essere stimata nel XIII – XIV sec, in base alle dimensioni e alla manifattura dei mattoni. La più antica notizia documentaria rinvenuta negli Archivi vescovili di Vercelli risale al 1564: in un Promemoria settecentesco inerente una lite fra Prevosto e Comunità robbiese per la manutenzione della chiesa parrocchiale, si riferisce di una visita di S. Carlo Borromeo all’incirca nel 1564, in cui si dice aggregata alla Prepositura la Possessione di S. Sebastiano per la manutenzione della Sagrestia [della chiesa prepositurale di S. Stefano di Robbio] …, che prima si manteneva dalla mensa Capitolare dei Canonici. All’epoca dunque la chiesa e i suoi possedimenti dovevano essere a disposizione della chiesa diocesana, tanto da permettere a Carlo Borromeo – che nel 1584, poco prima di morire, visitò anche Vercelli – di disporne a suo giudizio. Pare da escludere l’appartenenza a un ordine religioso non secolare o l’esistenza di un patronato.
Più di un secolo prima, nel 1440, la chiesetta di S. Sebastiano non compare nel registro dell’estimo ordinato dal vescovo di Vercelli Guglielmo Didier – cui la pieve di Robbio sottosta’ – in occasione di un Sinodo diocesano.
La costruzione della chiesa non può dunque essere successiva all’epoca della decorazione pittorica conservata al suo interno. Le arcate affrescate sulla parete interna meridionale ,infatti, rispettano la monofora presente, che è coerente anche all’esterno col tessuto murario dell’intero paramento. Anche sulla parete settentrionale, le scene sono organizzate rispettando la stretta apertura, poi ridotta a finestra. L’edificazione di S. Sebastiano potrebbe essere stata dettata, considerata l’intitolazione, da uno degli episodi di peste ricorrente in pianura padana nel corso del medioevo. Non è casuale forse che la chiesa si trovi presso la via francigena verso Mortara, lungo la quale, insieme a mercanti, pellegrini e soldati, si muoveva anche il contagio.
Tutta la vicenda storica successiva è segnata da degrado e ripristini: risulta che nel 1573, in occasione della visita pastorale del vescovo Giovanni Francesco Bonomi, la chiesa di S. Sebastiano – localizzata in via S. Angeli – fu già trovata omnibus destitutam et derelictam et apertam. Vi si celebrava almeno una volta all’anno, nel giorno del santo titolare; mentre sull’asserzione che alias la si officiava ogni settimana, si afferma che la notizia non è certa. Il visitatore, confermando che la chiesa è membrum praepositurae, intima al prevosto de illa reparanda infra proximum festum San Sebastiani.
Nel 1664 la chiesa riemerge dai resoconti delle visite pastorali. In quell’anno il vescovo Michelangelo Broglia decreta che Il Sig. Prevosto infra la festa prossima di S. Sebastiano la farà riparare all’intorno, serrar li buchi, e stabilir l’altare con calcina al di sopra, e prevedendoli delle cose necessarie che vi si possa celebrare almeno la festa di d.o Santo, Et pertanto gli farà fare una porta da chiuderla infra un mese prossimo acciò le bestie non vi possino entrare sotto pena arbitraria a Mons. Illustrissimo.
Nel 1693 torna nuovamente a essere ignorata, mentre nel 1744 le si dedica solo un accenno, senza richiedere però interventi manutentivi, segno evidente che quelli richiesti ottanta anni prima erano stati effettuati. Ciononostante pochi anni prima S. Sebastiano della Prepositura di Robbio viene annoverata dal Consiglio comunale tra le molte chiese in questo territorio dirocate
Trent’anni dopo, il 3 maggio 1774, nel corso della visita dell’arcivescovo Costa d’Arignano, l’oratorio viene descritto – pur se modesto – in condizioni dignitose. Dotato di altare lateritius…sub fornice, la pietra e i vasi sacri per le celebrazioni vengono portati dalla Parrocchiale. Sulle pareti sono dipinte la Vergine Maria con Gesù bambino, e i santi Sebastiano e Germano vescovo. E infine si afferma che vi si celebra Messa nel giorno del santo titolare e al tempo delle rogazioni ex antiqua consuetudine.
Questa relazione è particolarmente importante: oltre a descrivere rapidamente gli affreschi fornisce indicazioni su natura e posizione dell’altare; indica che l’edificio, pur se occasionalmente, era officiato; e ricollega la sua frequentazione ad un uso antico, quello delle Rogazioni, la processione che a partire dal capopieve raggiungeva tutte le chiese del contado.
L’ultima osservazione rende la chiesa di S. Sebastiano, pur se apparentemente defilata al cospetto delle vicende del borgo, intimamente legata a Robbio e alla sua comunità religiosa e civile: va ricordato che ancora nel Settecento, prima di ogni Consiglio comunale si invocavano i santi Giuseppe, Giacomo, Valeriano, Rocco e Sebastiano, protectores huius nostre Comunitatis.
Una nuova richiesta di restauro da parte dell’autorità diocesana arrivò nel 1835, quando il Convisitatore dell’arcivescovo Alessandro d’Angennes ordinò di restaurare la chiesa essendo vacillanti l’altare, il pavimento, la porta e il tetto; richiamando che “onere dei beneficiati sia quello che l’edificio del beneficio assolutamente non crolli”.
Analogie stilistiche
Limitando per ora la comparazione al territorio circostante Robbio, gli affreschi spiccano per eccellenza rispetto all’ampio panorama artistico coevo nella Lomellina settentrionale, nel Vercellese e nel Novarese.
Esistono affreschi con caratteri stilistici affini con il ciclo di San Sebastiano a Robbio, in San Pietro e San Michele a Robbio, San Rocco a Sant’Angelo (qui firmati da Tomasino da Mortara), San Martino a Palestro, Sant’Albino, Santa Maria del Campo e San Lorenzo a Mortara, in San Nazario e Celso a Quinto Vercellese e nel chiostro dell’omonima abbazia di San Nazzaro Sesia.
Ampia documentazione comparabile con il ciclo di S. Sebastiano si trova negli oratori campestri e in molte chiese del novarese.
Le affinità stilistiche sono evidenti in particolare per:
- le capigliature dei personaggi dipinte accuratamente “pettinate”,
- le aureole decorate all’interno con archetti rovesci,
- i pavimenti rappresentati alla provenzale,
- gli abiti sontuosi di S. Sebastiano, di tipo damascato.
Tutti questi elementi ci conducono ad attribuire il ciclo a Tommaso Cagnola.
Tommaso Cagnola, o Cagnoli (documentato dal 1479 – al 1509), è stato un pittore italiano, titolare di una delle principali botteghe presenti a Novara attiva tra il XV e il XVI secolo, verosimilmente la più feconda bottega presente a Novara tra le ultime decadi del XV secolo e le prime decadi del secolo successivo.
All’interno della bottega dei Cagnola operarono anche i suoi figli Giovanni, Francesco e Sperindio. Quest’ultimo divenne allievo e collaboratore di Gaudenzio Ferrari traghettando la produzione artistica della bottega verso forme espressive genuinamente rinascimentali. Al contrario, Giovanni e Francesco si mossero costantemente, anche se con minor talento, nella scia stretta degli insegnamenti paterni.
La produzione artistica di Tommaso e dei suoi due figli, Giovanni e Francesco, si realizzò soprattutto in opere a fresco di soggetto religioso, apprezzate da una vasta committenza nel novarese, nel territorio ossolano, arrivando sino alla Valsesia e in Lomellina. La loro attività si espresse essenzialmente in antiche chiese romaniche ed oratori di campagna, popolando tali edifici di immagini di santi e di scene evangeliche di gusto popolare, che dovevano corrispondere a speciali devozioni dei committenti, ovvero alla funzione didattica che la chiesa affidava ai cicli pittorici (come Biblia pauperorum).
Nel dicembre del 1490 venne chiamato, insieme ai suoi figli, a Milano presso la corte degli Sforza per preparare gli allestimenti scenici per le contemporanee feste nuziali di Beatrice d’Este con Ludovico il Moro e di Anna Sforza con Alfonso d’Este[1]. In quell’occasione conobbe Bernardino Butinone e Bernardo Zenale, incaricati di dirigere la folta schiera di artisti convocati a corte, senza peraltro che l’incontro con i due importanti pittori milanesi lasciasse traccia nel suo linguaggio tardogotico.
Difficile è spesso distinguere i contributi di Tommaso rispetto a quello del figlio Giovanni (di cui poco si conosce) e di Francesco, che fu peraltro pittore molto fecondo. Il loro linguaggio, che si attarda vistosamente su forme tardo gotiche, si connota per alcune particolarità stilistiche che equivalgono ad una sorta di marchio di fabbrica.
« Nota comune a tutti i Cagnola, con l’eccezione di Sperindio, è l’uso di tratteggiare i pavimenti degli interni con ciottoli rossi, l’utilizzo più o meno spiccato del broccato per rendere eleganti i vestiti e mettere in risalto i personaggi […], i motivi vegetali che ornano i troni delle Madonne, e il particolare modo di rendere le aureole di Cristo che nella parte dorata tratteggia curiose “orecchie di topo”. Una caratteristica che aiuta ad attribuire un’opera anonima alla mano di un Cagnola è il modo di trattare le capigliature: i capelli sembrano essere appena stati bagnati e pettinati tanto che le tracce lasciate dal pettine sono evidenti »(A. A. Boratto, Da Tommaso a Sperindio, o dai Cagnola ai Ferrari, in A. A. Boratto, L. Amaranto , op. cit. in bibliografia)
Sembra opportuno evidenziare i cartigli o pergamene, di tradizione provenzale.
Le pergamene utilizzate dall’autore per commenti e citazioni sono visibili in molti edifici affrescati dal Cagnola e, ad esempio, nel Castello di Fenis in valle d’Aosta lungo la via francigena dove si può osservare la teoria dei saggi e dei filosofi antichi che recano cartigli simili. Fragile ma suggestiva la citazione della via francigena, lungo la quale nei secoli sono transitati, accanto ai pellegrini, uomini di cultura portando le novità linguistiche e culturali d’oltralpe.